IL BUSENTO

 

Il Busento sgorga dagli intestini del monte Scudiero, nelle serre cosentine. Scende irrequieto, frusciando un lamento metallico che rimbalza sui costoni scoscesi da cui è compresso. Si tormenta di schiuma sui massi in fondo alle strette gole erose con il paziente 

lavorio di millenni. Sembra aver fretta di raggiungere il mare, la grande acqua a cui ogni fiume aspira, il rifugio dove trovare quiete, scivolando dentro a esserne parte. Presto il piano ne placa gli ardori. Diventa una striscia che scorre lenta, placida e serpeggiante nell’alveo prima disseminato di rocce e ora una lingua di terra cosparsa di ghiaia, verdeggiante di erbe 

le pradenti il suolo, di steli di ginestre con i fiori gialli di primavera, di robinie, e di canneti.

Ha fretta e voglia di mescolarsi al mare, il Busento. Non riesce però a raggiungerlo. Muore alle porte di Cosenza vecchia, dentro il Crati ancora giovane ma già vigoroso, che spancia la terra pochi chilometri più su, dai fianchi del Timpone Bruno, Sila Grande. Degradandosi a piccolo affluente che ne accresce appena la portata. Nel confondersi con il Crati, ne subisce la prepotenza, si contorce in lievi increspature nemmeno capaci della protesta di un’onda e prosegue sconfitto e irriconoscibile dentro l’altro che punta a Nord, devia a Est e si fa infine accogliere dallo Ionio, nella Piana di Sibari, senza che questo possa ormai distinguere le acque limpide e fresche già nelle viscere del monte Scudiero. annocchie piumose in cima, che talvolta si ergono compatti nelle piccole dune imprigionate a diventare isolotti, per l’acqua che si sparte in due direzioni e si ricompone poco giù. 

 

http://www.lastampa.it/2015/10/26/cultura/eppure-soffia-dal-fiume-lo-spirito-di-alarico-jnopzYVyEbYC7S0AX5p1FN/pagina.html

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